Negli anni 1909-11, in contrada Colle Ete, gli scavi della Soprintendenza archeologica, diretti da Innocenzo Dall’Osso, identificarono centinaia di sepolcreti piceni. Poco lontano, in contrada Colle Tenna, vennero individuati i resti di quello che era probabilmente l’abitato. Purtroppo, i reperti fin allora recuperati, portati ad Ancona, nel Museo archeologico nazionale delle Marche, vennero danneggiati nel 1943 durante un bombardamento alleato alla città.
Nel VI secolo a.C. le necropoli confermano l’esistenza di una società retta da capi guerrieri. Nelle tombe di questi ultimi erano spesso sepolti carri da guerra a due ruote, trovati, però, anche in alcune tombe femminili. Dopo il V secolo a.C., l'abitato andò perdendo d'importanza.
Nella prima metà del XIII secolo il castrum Belmontis era giurisdizione di Rodolfo, signore del castello di Chiarmonte (nel territorio di Belmonte Piceno), dei suoi figli Filippo e Alberto, di Rinaldo e Paluccio, signori del castello di Lornano (nel territorio di Macerata), di Filippuccio di Trasmondo e di Giorgio di Albertino da Montepassillo (nel territorio di Comunanza). Tuttavia, nel 1263 Belmonte decise di assoggettarsi a Fermo, che lo controllava tramite un vicario del podestà fermano. Il funzionario, che peraltro poteva eleggere un proprio sostituto, restava in carica un anno. Prima di sottomettersi, i belmontesi, non più soggetti alla tutela di signori laici, avevano dato vita ad autonome istituzioni comunali (pp. 472-473).
Nel 1252 Gualtiero Vinciguerra, figlio di Aliscrante, cedette le sue quote di giurisdizione sul castello di Chiarmonte a Fermo, che presto ne unì le pertinentiae a Belmonte (p. 475). Tornando a quest'ultimo, sappiamo che venne preso nel 1407 dalle truppe pontificie, allora in guerra con il signore di Fermo Ludovico Migliorati. Nel 1412, i Malatesta, sempre in guerra con quest'ultimo, entravano nel castello, riconquistato dai fermani alcuni mesi dopo.
Nel 1863 re Vittorio Emanuele II autorizzò il comune ad assumere la denominazione di Belmonte Piceno, in conformità alla disposizione governativa che prevedeva l’aggiunta di un secondo appellativo a tutti quei comuni d'Italia che avevano lo stesso nome.