Marca
Si dipinge in forma di una donna bella e di virile
aspetto che con la destra mano si appoggi ad una targa attraversata
di arme di asta, coll’elmo in capo e sopra il cimiero abbia un pico [picchio] e colla sinistra mano tenga un
mazzo di spighe di grano, in atto di porgerle; ed appresso a lei vi sarà un
cane.
Si rappresenta bella, per la vaghezza della provincia,
molto bene distinta dalla natura in valli, colli, piani, rivi e fiumi che per
tutto la irrigano e la
rendono oltre modo vaga e bella.
Si dipinge di virile aspetto con una mano
appoggiata alla targa ed altre armi, per mostrare li buoni soldati che da essa provincia
escono.
Le si mette per cimiero il pico, arme di questa regione,
essendoché il pico uccello di Marte fusse guidato e andassi avanti le legioni
de’ Sabini [Piceni] e quelle nella
Marca conducesse ad essere colonia di provincia, e per questo fu detta a tempo
dei Romani la Marca «Ager Picenus»,
come ben descrive assai in un breve elogio il sig. Isidoro Ruberto,
nella bellissima e maravigliosa Galleria di Palazzo nel Vaticano fatta far da
Gregorio papa XIII di felicissima memoria [Galleria
delle carte geografiche], nella qual fu di molto aiuto il reverendissimo padre
Ignatio Danti perugino e vescovo d’Alatri [geografo
domenicano], che e n’ebbe suprema cura da sua beatitudine; e l’elogio fu
questo: «Ager Picenus, ager dictus est propter fertilitatem,
Picenus a Pico Martis, ut Straboni placet,
nam annona, et militibus abundat, quibus
saepe Romam, caeterasque Italiae, Europaeque partes iuvit».
E certamente gli huomini di questa provincia non
solo hanno sovvenuta continuamente di
grano Roma e le altre provincie; ma ancora hanno dato aiuto di
fortissimi soldati e insieme segni di nobil fedeltà, nei maggiori bisogni loro
e della cristianità, contro i Turchi e gli eretici ed a tempo dei Romani
antichi spezialmente molto fecero, quando congiurando contra d’essi gran parte
delle colonie d’Italia, loro mossero guerra solo i Marchegiani, dei quali i Fermani
restarono in fede e combatterono in lor servigio, onde questa provincia e questa
città ne acquistò lode di fedele e per loro gloria nei luoghi publici si vede
scritto: «Firmum firma fides Romanorum
Colonia».
Onde ragionevolmente se le è messo a canto
il cane, per dimostrare la fedeltà loro; oltre di ciò per dimostrare che in
questa provincia vi sono cani di gran stima e bontà e di essi ne vanno per tutta
l’Italia e, ritornando al valore e fedeltà di questi soldati, si dimostra da
Velleio Patercolo quando dice che Pompeo armò per la Repubblica numero
grandissimo di gente amiche: «In cohorte
picena plurimum confidebat».
Ai tempi più moderni, quando papa Clemente VII si
trovava assediato in castello S. Angelo dalli Spagnuoli e da i Tedeschi, i Marchegiani
quasi popularmente s’inviarono alla volta di Roma, de i quali spingendosi avanti
il conte Nicolò Maurizio da Tolentino con alquanti cavalli e con esso Tullio
Ruberti, si ritrovarono a cavarlo di Castello, quando si andò a salvare ad
Orvieto.
Cesare Ripa, Iconologia, t. 3, nella stamperia di
Piergiovanni Costantini, Perugia 1765, pp. 395-396.
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