In una parte dell’ex convento della chiesa di San Fortunato di Todi è
allestito il Museo archeologico “Pompilio Bonvicini”.
I reperti provengo dal territorio di Falerore, dov'era la città romana di Falerio Picenus, nell'attuale frazione Piane. Gaetano De Minicis, nell’articolo Sopra l’anfiteatro ed altri monumenti spettanti all’antica Faleria nel Piceno, pubblicato nel 1832, scrive di quest’ultima che: “sin da’ tempi di Augusto era certamente colonia. Molti sono i documenti, che a così pensare m’inducono. Balbo Mensore nella sua opera De limitibus spesse volte fa menzione dell’agro faleriense, il quale era ripartito in certi limiti proprii soltanto delle colonie romane. Le diverse lapidi che veggonosi sparse in Falerone ne fanno pur manifesto, che Faleria fosse colonia, dacchè esisteva in essa il duumvirato, il quattrumvirato, l’ottumvirato, o collegio degli augustali, gli auguri, i laurenti lavinanti, la curia, il collegio de’ negozianti e degli artieri, de’ centonarj, de’ dendrofori, il magistrato de’ quinquennali, gli edili, i decurioni: ordini tutti e magistrature insigni, le quali non pongono in dubbio lo splendore di Faleria, e che ella fosse colonia”.
I reperti provengo dal territorio di Falerore, dov'era la città romana di Falerio Picenus, nell'attuale frazione Piane. Gaetano De Minicis, nell’articolo Sopra l’anfiteatro ed altri monumenti spettanti all’antica Faleria nel Piceno, pubblicato nel 1832, scrive di quest’ultima che: “sin da’ tempi di Augusto era certamente colonia. Molti sono i documenti, che a così pensare m’inducono. Balbo Mensore nella sua opera De limitibus spesse volte fa menzione dell’agro faleriense, il quale era ripartito in certi limiti proprii soltanto delle colonie romane. Le diverse lapidi che veggonosi sparse in Falerone ne fanno pur manifesto, che Faleria fosse colonia, dacchè esisteva in essa il duumvirato, il quattrumvirato, l’ottumvirato, o collegio degli augustali, gli auguri, i laurenti lavinanti, la curia, il collegio de’ negozianti e degli artieri, de’ centonarj, de’ dendrofori, il magistrato de’ quinquennali, gli edili, i decurioni: ordini tutti e magistrature insigni, le quali non pongono in dubbio lo splendore di Faleria, e che ella fosse colonia”.
Il rinvenimento di reperti piceni, esposti anche questi nel Museo, attesta la frequentazione del territorio
fin dal vi secolo a.C. Appiano,
nella Storia romana, ricorda la
vittoria riportata nell’89 a.C. presso il monte Falerino (o Falerno), probabilmente nei pressi di Falerone, dagli
Italici contro i Romani. L’invio di veterani dette probabilmente l’avvio all’urbanizzazione di Falerio Picenus. Rimane incerto il
periodo di fondazione. Dopo la battaglia di Filippi (42 a.C.), sconfitte le armate repubblicane
del Senato, Firmum Picenum, allora
dalla parte della Repubblica, venne punita da Ottaviano. Quest’ultimo, l’anno
dopo, dedusse sul territorio dei fermani una delle sue legioni. L’insediamento
di veterani provocò sconvolgimenti nell’assetto del territorio, tanto che terre
non assegnate (subseciva) diedero
inizio a una lite tra Firmum Picenum e Falerio Picenus. Solo
l’intervento dell’imperatore Domiziano, con un rescritto dell’82 d.C., riuscì a
mettere fine alla controversia, dando ragione ai faleriensi. Theodor
Mommsen nel Corpus Inscriptionum
Latinarum ritiene che il periodo della fondazione di Falerio Picenus possa risalire a dopo la battaglia di Azio (31
a.C.), anche in questo caso dopo una deduzione di terre fatta poco tempo dopo
ai danni di Firmum Picenum, sempre
schierata dalla parte delle armate repubblicane del Senato.
Tornando alla storia del Museo archeologico “Pompilio Bonvicini”, sappiamo che nel 1928 vennero trasferiti nel Palazzo comunale tutti i reperti
archeologici di proprietà pubblica. Nel 1966, durante lavori di restauro
al Municipio, questi ultimi vennero spostati dove sono adesso. Nel 1968, dopo
un furto, venne decisa la chiusura del Museo, riaperto solo nel 1982. L’attuale
allestimento è del 2004.
Nel corridoio d’ingresso, subito a sinistra, dopo alcuni
rocchi di colonne, è collocata una tavola di bronzo in cui è trascritto il
rescritto di Domiziano dell’82 d.C., copia fatta realizzare dal cardinal Pietro Aldobrandini che nel 1604 aveva acquistato il
reperto ritrovato con gli scavi del 1595.
In fondo è collocata una statua di Demetra/Cerere d’età antonina, copia di un originale del v secolo a.C. La dea è rappresentata in piedi. Dietro le spalle, dal capo, le scende un peplo. La testa, staccata dal corpo, è cinta da una corona di spighe. La scultura è simile alle korai (fanciulle) dell’eretteo di Atene. Tra i reperti sono anche: sculture frammentarie, epigrafi ed elementi architettonici.
In fondo è collocata una statua di Demetra/Cerere d’età antonina, copia di un originale del v secolo a.C. La dea è rappresentata in piedi. Dietro le spalle, dal capo, le scende un peplo. La testa, staccata dal corpo, è cinta da una corona di spighe. La scultura è simile alle korai (fanciulle) dell’eretteo di Atene. Tra i reperti sono anche: sculture frammentarie, epigrafi ed elementi architettonici.
Dalla sala grande, entriamo poi nel corridoio d’uscita. Nel fondo, subito a
destra, è collocata una statua virile togata mutila, proveniente dagli scavi
del teatro.
L’ultima stanza della raccolta è dedicata alla civiltà mortuale. Dell’esposizione fanno parte urnette cinerarie, steli sepolcrali e altri materiali.
Usciti, riprendiamo il corridoio. Dopo un grande dolio fittile, a destra, troviamo una lapide funeraria del 770 d.C., parte del sepolcreto di Volveto, nominato gastaldo di Falerone dal duca di Fermo Tasbuno, poi utilizzata come mensa d’altare di una qualche chiesa del territorio faleriense.
L’ultima stanza della raccolta è dedicata alla civiltà mortuale. Dell’esposizione fanno parte urnette cinerarie, steli sepolcrali e altri materiali.
Usciti, riprendiamo il corridoio. Dopo un grande dolio fittile, a destra, troviamo una lapide funeraria del 770 d.C., parte del sepolcreto di Volveto, nominato gastaldo di Falerone dal duca di Fermo Tasbuno, poi utilizzata come mensa d’altare di una qualche chiesa del territorio faleriense.