lunedì 16 marzo 2015

L'allegoria della regione Marche secondo Cesare Ripa

Marca

Si dipinge in forma di una donna bella e di virile aspetto che con la destra mano si appoggi ad una targa attraversata di arme di asta, coll’elmo in capo e sopra il cimiero abbia un pico [picchio] e colla sinistra mano tenga un mazzo di spighe di grano, in atto di porgerle; ed appresso a lei vi sarà un cane.

Si rappresenta bella, per la vaghezza della provincia, molto bene distinta dalla natura in valli, colli, piani, rivi e fiumi che per tutto la irrigano e la rendono oltre modo vaga e bella.
Si dipinge di virile aspetto con una mano appoggiata alla targa ed altre armi, per mostrare li buoni soldati che da essa provincia escono.
Le si mette per cimiero il pico, arme di questa regione, essendoché il pico uccello di Marte fusse guidato e andassi avanti le legioni de’ Sabini [Piceni] e quelle nella Marca conducesse ad essere colonia di provincia, e per questo fu detta a tempo dei Romani la Marca «Ager Picenus», come ben descrive assai in un breve elogio il sig. Isidoro Ruberto, nella bellissima e maravigliosa Galleria di Palazzo nel Vaticano fatta far da Gregorio papa XIII di felicissima memoria [Galleria delle carte geografiche], nella qual fu di molto aiuto il reverendissimo padre Ignatio Danti perugino e vescovo d’Alatri [geografo domenicano], che e n’ebbe suprema cura da sua beatitudine; e l’elogio fu questo: «Ager Picenus, ager dictus est propter fertilitatem, Picenus a Pico Martis, ut Straboni placet, nam annona, et militibus abundat, quibus saepe Romam, caeterasque Italiae, Europaeque partes iuvit».

E certamente gli huomini di questa provincia non solo hanno sovvenuta continuamente di grano Roma e le altre provincie; ma ancora hanno dato aiuto di fortissimi soldati e insieme segni di nobil fedeltà, nei maggiori bisogni loro e della cristianità, contro i Turchi e gli eretici ed a tempo dei Romani antichi spezialmente molto fecero, quando congiurando contra d’essi gran parte delle colonie d’Italia, loro mossero guerra solo i Marchegiani, dei quali i Fermani restarono in fede e combatterono in lor servigio, onde questa provincia e questa città ne acquistò lode di fedele e per loro gloria nei luoghi publici si vede scritto: «Firmum firma fides Romanorum Colonia».
Onde ragionevolmente se le è messo a canto il cane, per dimostrare la fedeltà loro; oltre di ciò per dimostrare che in questa provincia vi sono cani di gran stima e bontà e di essi ne vanno per tutta l’Italia e, ritornando al valore e fedeltà di questi soldati, si dimostra da Velleio Patercolo quando dice che Pompeo armò per la Repubblica numero grandissimo di gente amiche: «In cohorte picena plurimum confidebat».
Ai tempi più moderni, quando papa Clemente VII si trovava assediato in castello S. Angelo dalli Spagnuoli e da i Tedeschi, i Marchegiani quasi popularmente s’inviarono alla volta di Roma, de i quali spingendosi avanti il conte Nicolò Maurizio da Tolentino con alquanti cavalli e con esso Tullio Ruberti, si ritrovarono a cavarlo di Castello, quando si andò a salvare ad Orvieto.


Cesare Ripa, Iconologia, t. 3, nella stamperia di Piergiovanni Costantini, Perugia 1765, pp. 395-396.

Nessun commento:

Posta un commento