domenica 2 febbraio 2014

La basilica imperiale di Santa Croce al Chienti a Sant'Elpidio a Mare

La basilica imperiale di Santa Croce al Chienti, nel territorio di Sant'Elpidio a Mare, venne  consacrata nell'866, nel giorno della Santa Croce, dal vescovo di Fermo Teodosio. Nell’880 l’imperatore Carlo III il Grosso confermava all’abbazia privilegi, concessioni e donazioni date al monastero dallo stesso Teodosio, che aveva presentato all’imperatore, tramite l’arcicappellano imperiale, il vescovo di Vercelli Liutvardo, il progetto di realizzare nella valle del Chienti un’abbazia.
Nel 1219 l'imperatore Federico II prese sotto la propria protezione il monastero, concedendogli vasti territori, nonché il diritto di poter disporre, in qualsiasi modo ritenessero opportuna, delle acque del fiume Chienti. Tuttavia, col definitivo tramonto dell’autorità imperiale, sopraggiunse la fine dell’autonomia della basilica. Di lì a poco l’abbazia sarebbe entrata tra i possessi dell’abbazia di Santa Maria di Chiaravalle di Fiastra, nel territorio di Tolentino. Nel 1227 il preposto Lorenzo promise all’abate di Fiastra Giovanni l’osservanza della regola cistercense. Nel 1285 i monaci di Santa Croce al Chienti dovettero abbandonare l’abbazia, trasferendosi a Chiaravalle.

Nel 1356 il monastero venne saccheggiato da Ruggero, figlio di Gentile da Mogliano. Feriti e scacciati i chierici, furono asportate le croci, i paramenti, i calici, gli ornamenti dall’altare e depredate biade, vino, animali e suppellettili. Il monastero, alla fine del secolo, sarebbe stato chiuso una volta per tutte. 
L’avancorpo della facciata probabilmente è del 1646, vista la presenza sopra la volta a botte di un grosso laterizio con incisa questa data. Nel 1749, a cura dell’arcivescovo di Fermo Alessandro Borgia, furono rialzate le navate e gli absidi, sistemata la facciata, completandola da due volute, come ricorda la lapide apposta all’interno della chiesa. Probabilmente il monastero, di cui non rimane traccia, dovette essere stato adattato a casa colonica.

Nel 1790, con l’assenso dell’arcivescovo di Fermo Andrea Minucci l’abbazia è stata ridotta a struttura per uso agricolo. Solo nella navata centrale venne sistemato un piccolo altare con baldacchino ligneo di stile barocco con una pala raffigurante il Redentore, datata 1596 da Gaspare Trini. Nell’interno del baldacchino era collocati un altro dipinto rappresentante l’Eterno, la colomba, simbolo dello Spirito Santo, e angeli, con tutta probabilità della stessa mano.
Il paramento murario esterno dell'edificio è percorso da lesene raccordate alla linea di gronda da un serie di archetti pensili. Le tre absidi sono partite da lesene: quattro in quella maggiore e due in quelle minori.
L’interno è a tre navate, spartite dall’alternanza di pilastri e semipilastri in blocco di tufo rossiccio addossati al pilastro verso l’intradosso del valico. Le prime due campate della navata centrale sono scandite da due pilastri compositi in pietra con capitelli.
Le altre campate fino all'abside sono invece sorrette da pilastri compositi di minori dimensioni.
Nel presbiterio, due capitelli sporgenti dal terreno, hanno fanno pensare ad Angela Montinori ai resti del sistema di copertura della cripta. 

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