martedì 4 febbraio 2014

Il santuario di Santa Maria dell'Ambro a Montefortino

Stando alla tradizione la prima cappella dell'attuale santuario di Santa Maria dell’Ambro a Montefortino, venne eretta in seguito all’apparizione della Vergine alla pastorella Santina, muta fin dalla nascita che, alla manifestazione della madre di Dio, riacquistò per miracolo la parola. La tradizione è piuttosto tarda, dal momento che appare per la prima volta in una manoscritto di padre Giuseppe da Fermo del 1906. Nel 1925 nel numero della “Voce delle Marche” leggiamo che: “sulla sponda sinistra del fiume [Ambro] esisteva dentro la cavità di un faggio un’effige della Madonna, innanzi alla quale era solita pregare un’ingenua pastorella, sordomuta dalla nascita. A premiare la devozione in un mattino luminoso di maggio le comparve, circondata di straordinario splendore e ornata di celeste bellezza, la divina Signora e ridonatole all’istante la favella: “Va – le disse – reca la notizia di’ ai sacerdoti di Monte Fortino che qui deve sorgere un tempio ove io spanderò le mie grazie”. Ubbidì la semplice fanciulla, narrò il prodigio; e sorse la chiesa sul luogo indicato».

Negli anni 1947-49, rettore padre Federico da Mogliano, venne murata dietro l’altare della cappella della Madonna dell'Ambro la lapide: secondo la pia tradizione, nel maggio del mille, la vergine ss.ma / cinta di straordinario splendore, apparve in questa sacra roccia, al- / l’umile pastorella santina, muta fin dalla nascita. la fanciulla ottenne prodigiosamente il dono della parola in premio delle preghiere ed / offerte di fiori silvestri che ogni giorno faceva all’immagine della / madonna, posta nella cavità di un faggio. / pio pellegrino, prega con affetto la gran madre, perché anche tu, / insieme ai tanti beneficiati possa sciogliere l’inno di lode e di perenne / ringraziamento alla celeste benefattrice.
La prima notizia sull’antica chiesa di Santa Maria de Amaru o de Amaro è una chartula donationis del 1073, conservata, fino alla metà del xix secolo, nell’Archivio Storico Comunale di Montefortino. Nel 1757 Giovanni Panelli nelle sue Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno o sia della Marca d’Ancona, parla dell’atto rogato dal conte e notaio Adalberto nell’anno 1073, la cui copia è conservata nell’Archivio del monastero dei Ss. Vincenzo ed Anastasio in territorio d’Amandola. Nel 1783 il conte Leopardo Leopardi ne le Memorie istoriche di Montefortino nella Marca raccolte dal conte Leopardo Leopardi, patrizio recanatese e cittadino di essa Terra, dedicate e presentate dal medesimo all’illustrissimo signore Alberto Devoti, Delegato Apostolicon l’anno 1783 ricorda: "…un chiarissimo documento in pergamena, benché alquanto più moderna, rogato da Atto notaro l’anno 1073, esistente nell’Archivio segreto di detta Terra preso i PP. Minori Osservanti; in esso Rolando, abbate di S. Anastasio, ed Alberto conte suo fratello, figli di Adalberto conte, discendenti da sangue longobardo, donano alla chiesa della Vergine Santissima dell’Ambro, di pertinenza di detta badia, fondata da’ loro antenati, mille modioli di terreno con vigne, selve, molini, folle, pascoli nel territorio di Montefortino con queste parole: quod situl est in fundio Cisiano, territorio Fortini, ed ivi poco più sotto in honorem Mariae sempre Virginis in comitatu Firmano".
In un manoscritto anonimo sul santuario dell’Ambro, redatto verso la metà del xix secolo, è ricordato: "Un istromento conservato nel’Archivio segreto di questo Comune, datato li 8 luglio 1073, ci narra che l’abbate Rollando, superiore del vicino monistero di S. Anastasio, posto nel fondo Cisiano, territorio di Fermo, oggi di Amandola, ed il conte Alberto figlio del conte Adelberto, monaco sacerdote nel medesimo convento e che era discendente di Grimaldo quondam Adelberti, edificarono la chiesa suddetta di S. Maria coi propri loro denari prima di detto anno 1073 in loco quod dicitur Amarus in fundo Stateriano in comitatu Firmano, compreso nelle giurisdizioni del Castello sotto cui trovasi il cenobio di S. Anastasio. E non contenti essi di esprimere a Maria Santissima la gratitudine del loro cuore, per una grazia singolare compartitagli, coll’edificare detta chiesa di iuspatronato del fu conte Adelberto monaco, la arricchirono eziando col sopra citato atto delli 8 luglio 1073 della immensa quantità di modioli 1042 di terreni situati nel d’intorno alla chiesa medesima facendogliene donazione amìlissima col consenso degli altri monaci che presiedevano in detto cenobio e trasferendogli le ragioni tutte colle quali gli furono ceduti tali beni da Lopardo re de’ Longobardi, mediante atto precedente, nel quale esso re firmavasi Angobardus, alla quale liberalità non solo erano mossi i donanti dalla devozione verso Maria Santissima, ma ben’anche dal pensiero di giovare alle anime loro, de’ genitori e genitrici, di quella di Adelberto conte e di Gaudenzio, fratello di Rollando".
Tirando le somme: la cappella venne dotata di circa 200 ettari di terra dal conte Alberto e da suo fratello Rolando, abate del vicino monastero dei Ss. Vincenzo e Anastasio, figli del conte Adalberto. La chiesa di Santa Maria de Amaro, detta anche de Stateriano, dovette essere stata fondata, intorno all’anno Mille, dai loro antenati, forse dallo stesso Adalberto. Nel 1235 Ruggero e Guglielmo del fu Rinaldo di Simone restituirono l’edificio sacro all’abate di S. Anastasio in Cisiano, Giovanni, che nominò rettore della chiesa Matteo. Il 5 aprile 1290 Mainardo, cappellano della chiesa, pagò 20 soldi di decima alla Chiesa di Roma. Nel 1299 ne versò altri 20, per mano di Gentile, cappellano della chiesa fermana di Santa Maria Maddalena. Alla fine del xiii secolo l’edificio sacro risulta legata all’Episcopato di Fermo, alla quale deve versare le decime. Agli inizi del xiv secolo il Comune di Montefortino ottenne giurisdizione su vasti territori nell’area di Castel Manardo, tra cui anche quello di S. Maria, sulla quale estese il diritto di giuspatronato. Intorno al xvi secolo, per accogliere l’antica struttura, venne eretta una nuova chiesa a navata unica. Nel 1562 l’immagine della Vergine venne sostituita dall’attuale simulacro in terracotta policroma rappresentante la Madonna col Bambino, conosciuta come Madonna dell'Ambro
Nel 1574 con la bolla In prima visistatione il vescovo di Fermo Felice Peretti, poi papa Sisto V, assegnò alla mensa del Capitolo dei canonici del duomo di Fermo tutti i benefici della chiesa, destinati al mantenimento della Cappella musicale della cattedrale di Santa Maria Assunta, col diritto di nominarne il rettore, soggetto all’annuale visita canonica, lasciando, però, il giuspatronato a Montefortino.
Negli anni 1606-10 l’architetto Ventura Venturi risistemò il presbiterio, con la creazione di un’abside esterna, in modo da inglobare la vecchia cappella della Madonna dell’Ambro. La ricostruzione della chiesa, su progetto dello stesso architetto, iniziata l’anno dopo, durò fino al 1640. Dal 1897 il santuario è retto dai Cappuccini. 
Nel 1920 Virginio Parodi realizzò l’affresco della Regina della Pace, invocata da papa Benedetto XV e dai soldati della prima guerra mondiale. Della stessa mano, ai lati dell’altare maggiore, vennero realizzati l’Apparizione della Vergine alla pastorella Santina (sinistra), il miracolo che la tradizione vuole alla base dell’erezione della chiesa e i Santi Francesco, Benedetto e Romualdo (destra).
Il portico antistante la facciata è del 1936. L’interno è a navata unica, fiancheggiata da sei cappelle laterali. L’attuale altare maggiore venne realizzato nel 1980 recuperando un paliotto ligneo dorato del xvii secolo.
La Visitazione
Dietro, nella cappella della Madonna dell'Ambro, sono dipinte le Scene della vita della Vergine, realizzate negli anni 1610-11 da Martino Bonfini. Partendo da sinistra e procedendo dal basso in alto sono raffigurate: la Presentazione di Maria al Tempio, lo Sposalizio della Vergine, la Visitazione e la Circoncisione e presentazione di Gesù al TempioNel lunettone della parete di fronte troviamo il Riposo durante la fuga in Egitto. Nell’ottagono del soffitto è raffigurata l’Assunzione della Vergine. Nei lati della nicchia dov'è collocata la statua della Madonna dell'Ambro sono raffigurati alcuni angeli musicanti in volo tra nuvole, di fattura più tarda. Nella parte sottostante, tra la nicchia e l’altare, è rappresentata una Natività della VergineProbabilmente, nella lunetta della parete di fondo, erano dipinte le figure dell’Angelo annunciante e dell’Annunciata
Entro riquadri sono raffigurati quattro profeti a figura intera: Geremia, Mosè, David e Salomone, sormontati da quattro Sibille: Cumana, Eritrea, Agrippa e Ellespontica. Delle altre sono rappresentate a mezza figura: Persica, Samia, Delfica, Libica, Chimica, Tiburtina, Frigia e Europa 
Gli oracoli che mostrano quasi tutte le Sibille sono tratti per lo più dal Discordantiae nonnullae inter sanctum Hieronymus et Augustinus, una sorta di enciclopedia sibillina pubblicata a Roma nel 1481, dal domenicano Filippo Barbieri. La Cumana: magnus ab / integro se- / culor(um) nasci- / t(ur) ordo, iam / redit et vir- / go redeu(n)t sa- tur(n)ia reg(n)ia (così) no- / va p(ro)ge(n)ies celo / dimittitur / alto; profezia che proviene dalla IV egloga di Virgilio. L’Eritrea: huma(n)<a>bit(ur) pro- / les domi(n)a (così per divina) u(n)ietur (così per iungentur) / humanitati divinitas, testo profetico desunto da una scritto gioachimita del xiii secolo. L’Agrippa priva del testo oracolare, ma identificata dall’iscrizione: si(bylla) agrippa. L’Ellespontica priva anche questa del responso oracolare, ma identificata dall’iscrizione: si(bylla) hellespo(n)tica.
Le altre sibille a mezza figura: la Persica: et gr- / emium / virginis / erit / salus / gentiu(m). La Samia: ecce ve- / niet di- / ves et / nascet- / ur de / pauper- / cula (termine quest’ultimo di derivazione francescana). La Delfica: nascetur / propheta / absque / matris (così, forse maris) / coitu ex / virgine / eius. La Libica: uterus / matris / eius eri- / t state- / ra cun- / toru(m) (così, per cuntorum). La Chimica: in p(rim)a fa- / cie virgi- / nis asce(n)d- / et puella / facie / pulcra / sede(n)s su- / p(er) sede (m) / strata(m) pue- / r(um) nutrie(n)s / da(n)s ei ius / p(ro)prium / ……, testo dal trattato Introductorium in astronomiam dell’astrologo arabo Abu Mashar (prima metà ix secolo), tradotto in latino nel 1130 da Iohannes Hispalensis e venti anni dopo da Hermannus secundus. La Tiburtina: o felix / illa mater / cuius ubera / illum / lactabu(n)t, testo desunto da uno scritto gioachimita. La Frigia, con la scritta an(n)u(n)ciabi- / tur in val- / libus de- / sertoru(m) / virgo. L'Europea, identificata per esclusione, non ha alcun segno di riconoscimento (tanto che non è ancora chiaro il perché). 
Lo sposalizio della Vergine
L’origine dei testi, con uno ampio contenuto mariologico, è stata attribuita ad ambienti gioachimiti, con l’apporto di esponenti dell’ordine minoritico francescano.
È in interessante notare come questi testi possano rimandare, seppure vagamente, al pensiero dei Fraticelli, fedeli allo spirito pauperistico del testamento di san Francesco Dopo la morte di san Francesco, il movimento francescano si era ben spaccato in due. Da una parte, gli Spirituali intendevano restare fedeli alle ispirazioni originali del santo, soprattutto in materia di povertà. Dall’altra, i Conventuali accettavano come condizione per far crescere l’ordine, l’uso (o il possesso) di quanto fosse necessario. Nel 1322 il Capitolo generale dell’Ordine tenuto a Perugia aveva fatto proprie le posizioni pauperistiche degli Spirituali, condannate però l’anno successivo come eretiche dalla bolla Cum inter nonnullos di papa Gregorio XXII. Molti Spirituali confluiranno allora nel movimento dei Fraticelli o Fratres de paupere vita di Michele da Cesena, l’ex generale dell’Ordine francescano che 1322 aveva convocato il Capitolo generale. Nella prima metà del XV secolo, Giacomo della Marca intraprese una dura battaglia per estirpare una volta per tutte dal nostro territorio l’eresia dei Fraticelli (legata peraltro al pensiero di Giacchino da Fiore), presto "cancellata". Non possiamo, dire che questi dipinti, possono essere un richiamo ai Fraticelli (sarebbe assurdo!). Tuttavia, sembra che con questi testi i Francescani (al quale come abbiamo detto è stata attribuito l'apporto) cercassero di ricondurre, quelle ch'era stata l'eresia dei Fraticelli, all'interno della Chiesa. In quegli anni negli ambienti francescani era sempre più forte la spinta a un ritorno alla modo di vita di san Francesco. Pensiamo ai frati Cappuccini, fondati dal nel 1520 circa dal frate osservante Matteo da Bascio (Pennabilli, 1495 circa – Venezia, 1552), che nei primi anni dovette nascondersi dalla Chiesa, che vedeva nelle sue posizioni, una forma di ritorno a quelle dei Fraticelli. Tuttavia, il movimento riuscì a trovare una mediazione, tanto che nel 1528 ottenne l'approvazione papale
Per quello che mi riguarda, i testi nei dipinti di Martino Bonfini, andrebbero ricollegati sì ad ambienti gioachimiti, ma con l’apporto di esponenti dei Cappuccini, che cercavano di dar risalto a quanto di "buono" poteva essere rimasto del messaggio pauperistico dei primi francescani.


Bibliografia


G. Santarelli, Il Santuario della Madonna dell’Ambro, Edizioni “Voce del Santuario Madonna dell’Ambro”, Montefortino 1981.
P. De Vecchi, Appunti sul ciclo di Martino Bonfini alla Madonna dell’Ambro, in Il santuario dell’Ambro e l’area dei Sibillini. Atti del convegno di studi (Santuario dell’Ambro, 8-9 giugno 2001), a cura di G. Avarucci (Fonti e studi, 11), Edizioni di “Studia Picena”, Ancona 2002, pp. 309-319.G. Santarelli, Il Santuario dell’Ambro e i Cappuccini, in Il santuario dell’Ambro e l’area dei Sibillini. Atti del convegno di studi (Santuario dell’Ambro, 8-9 giugno 2001), a cura di G. Avarucci (Fonti e studi, 11), Edizioni di “Studia Picena”, Ancona 2002, pp. 183-255.
G. Capriotti, Santa Maria in Pantano. La Chiesa delle Sibille, Lamusa, Ascoli Piceno 2003.
D. Pacini, Il territorio dei Sibillini nei secoli X-XI e le origini della chiesa di S. Maria dell’Ambro, in Il santuario dell’Ambro e l’area dei Sibillini. Atti del convegno di studi (Santuario dell’Ambro, 8-9 giugno 2001), a cura di G. Avarucci (Fonti e studi, 11), Edizioni di “Studia Picena”, Ancona 2002, pp. 1-41. 

Vedi anche la voce del blog La Sibilla dell'Appennino.


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