Nel comune di
Petritoli sono attestati alcuni possessi di Farfa. Nel 960 l’abate Ildebrando
concesse a terza generazione più di 2.000 moggi a Trasperto d’Ingelperto in
diversi fondi, tra i quali quello di Pretitulo.
Nel 978 Suppone di
Transarico cedette all'abate di Farfa Giovanni alcuni beni in loco qui dicitur Miliarius et in Pila, ad vocabulum Bulsianum
(quest'ultima una contrada di Petritoli, non lontana dal santuario della
Liberata).
Nel dicembre 1055
Transarico, figlio di Transarico, donò pro
redemptione animae all’Episcopato di Fermo la sua giurisdizione su 1/3 del castrum Petrituli.
Nello stesso tempo,
la madre Amata, donò i beni che le appartenevano per morgengab, tra cui la sua parte del castello di Petritoli al
vescovo di Fermo Ulderico.
Il 27 gennaio 1181
Gentile e Trasmondo, figli di Ugo, e Ascaro, figlio di Gualfredo, cedettero a
Trasmondo di Cecilia, 1/3 della terra del castello di Petritoli, ovvero quantum necesse fuerit pro edificatione
castelli, che stando al documento per Lucio Tomei sembra essere stato
distrutto. Nel 1191 Transarico, abate del monastero di San Pietro in Valle,
concesse a terza generazione a Trasmondo, figlio di Giberto, del vicino
castello di Cecilia (in territorio di Petritoli), e alla moglie Dinambra, la
quota che il monastero deteneva sul castello di Petritoli.
Fermo entrò in
possesso della giurisdizione sul castello solo nel 1252, quando, espugnato
dall’imperatore Federico II, Petritoli
fu ceduto alla città.
In contrada
Liberata troviamo il santuario di Santa Maria della Liberata, già Santa Maria in Liverano, ricostruito nel 1957
dall’architetto Felice Nori sullo stesso luogo dell’antica chiesa, danneggiata
dal terremoto del 1943. Solo per il campanile sono state riutilizzate le pietre
dell’antico complesso. La chiesa venne forse eretta nel xvi secolo come santuario contra pestem.
Nell’altare
maggiore troviamo la tela della Madonna della
Liberata, , datata 16 luglio 1529 dal pittore Giovanni Battista Morale da
Fermo. Al centro della composizione è la raffigurazione della Madonna in trono col Bambino e i santi
Sebastiano e Rocco. I due sono i protettori contro la peste. Sotto il trono
è dipinta la testa decapitata di san Giovanni Battista su un piatto dorato.
Un cippo miliario
romano (metà iv sec. a.C.), che
ricorda il nome di Magnenzio, è stato trasformato in acquasantiera. Nel 978,
come abbiamo già detto, Suppone di Transarico cedette all'abate di Farfa
Giovanni alcuni beni in loco qui dicitur
Miliarius et in Pila, ad vocabulum Bulsianum. Il termine Miliarius richiama
il cippo miliario del santuario trasformato in un'acquasantiera (p. 384). Nei
pressi del santuario doveva pur trovarsi la pieve di Sant'Anatolia, per Delio
Pacini di probabili origini farfensi, dal momento che furono proprio questi
monaci a portare nella Marca meridionale il culto di questa martire sabina (p.
384). Nel settembre 1063 la plebs Sanctae
Natholie figurava tra i possessi del vescovo di Fermo. Abbandonata entro il
xiii secolo, fu ricostruita in
forme gotiche entro le mura del castello, sul luogo dell’attuale chiesa, eretta
nel 1913.
L’interno è ad aula
unica, coperta da capriate lignee. Nei lati della bussola papale, troviamo due
cippi cinerari cilindrici (i-ii secolo d.C.): il primo dedicato a
Tito Saturio Celere e il secondo alla sua liberta Fadia Paulla.
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