I farfensi avevano dei possessi
nella città di Fermo. Di questi, una volta usurpati dall'Episcopato
fermano, non rimase nulla, anche perché si decise di cancellare ogni memoria di
un qualche possesso farfense nella città di Fermo.
Da
un diploma del 815 rilasciato all’abbazia di Farfa dall’imperatore Ludovico,
sappiamo che Carlo Magno aveva confermato all’abbazia di Farfa il possesso del monasterium quod vocatur Sancti Silvestri
vel Sanctae Marinae. Per
Delio Pacini il monastero doveva trovarsi in contrada Montemarino a Fermo,
dov'è la chiesa di San Marino, non lontano da quella di San Silvestro,
attestata nel 1227 non lontano dalla chiesa di San Nicola, che ha lasciato la
memoria alla contrada San Nicolò tra Montesecco e Capodarco [1].
Nel
967, in un diploma rilasciato da Ottone I, è attestata la curtis Sancti Salvatoris suptus muros civitatis. La corte doveva trovarsi dov'è l'attuale contrada San Salvatore. La chiesa sarebbe stata poi trasferita
entro le mura (attuale chiesa San Martino).
Nello
stesso documento è ricordata la curtis
Sancti Silvestri intra civitatem. Nella lista dei beni farfensi usurpati
all’abbazia, redatta da Gregorio di Catino, entro il primo quarto dell’xi secolo, tra quelli nella città di
Fermo, è attestata l’ecclesia Sancti
Silvestri infra civitatem Firmanam. Una chiesa con questo titolo sembra
sorgesse in località Montesecco (frazione Capodarco), stando ad un documento
redatto nel 1227.
Il
vescovo di Fermo si era impadronito di due chiese in ipso burgo civitatis Firmanae: con tutta probabilità quella di
San Leucio (non lontano dalla chiesa di San Zenone) e quella di San Germano iuxta monasterium Sancti Savini, nei
pressi del colle Vissiano.
Negli
ultimi anni dell’episcopato di Ulderico, Gisone, preposto della chiesa di Santa
Maria in Georgio (attuale
Montegiorgio), ricordava altre proprietà farfensi passati al vescovo di Fermo e
ad alcuni signori laici. Tra questa, la stessa chiesa di San Silvestro,
concessa per praestariam a Trasmondo
IV (983-985) e, accanto a questa, una possente torre.
Nella
lista è attestata ancora l'aecclesiam
Sancti Luecii extra portam civitatis, ma a quell’epoca già distrutta ut a memoria hominum laberetur, ovvero
perché fosse cancellata ogni memoria di questa. Per Lucio Tomei l'edificio potrebbe
aver lasciato il nome alla contrada Campi
Leucii o Campiletii, poi
Campolege e Campoleggio.
Farfa
aveva perso anche la metà della chiesa di Santa Palaziata, che doveva sorgere
su un’altura presso Fermo, il monte Sanctae
Palatiates attestato in un diploma del 1188 del vescovo Presbitero, con
tutta probabilità l’attuale colle dei Cappuccini.
Per la tradizione a Fermo avrebbero subito il martirio anche
le sante anconetane Laurenzia e Palazia[2].
Non
lontano dal mare, Farfa possedeva il castello quod Ripa vocatur cum portis.
In un privilegio del 1154 è detto sub
Montesicco (attuale contrada Montesecco, poco a nord della frazione
Capodarco, dov'era un altro castello, ma non sotto la soggezione dell'abbazia
farfense), allora ceduto dal vescovo di Fermo Baligano al monastero di San
Savino al colle Vissiano. Nelle vicinanze lo stesso monastero possedeva la
pieve di San Michele Arcangelo, ceduta nel 1016 dal vescovo Uberto cedette al monastero di San Savino
al colle Vissiano.
Da
quello che ne sappiamo il castello di Ripa
era l'unico porto marino che Farfa aveva nella Marca meridionale. Di questo
porto però non rimane nulla. Ben presto tutti i commerci marittimi passarono
per Porto San Giorgio.
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