domenica 9 novembre 2014

I possessi farfensi a Petritoli

Nel comune di Petritoli sono attestati alcuni possessi di Farfa. Nel 960 l’abate Ildebrando concesse a terza generazione più di 2.000 moggi a Trasperto d’Ingelperto in diversi fondi, tra i quali quello di Pretitulo.
Nel 978 Suppone di Transarico cedette all'abate di Farfa Giovanni alcuni beni in loco qui dicitur Miliarius et in Pila, ad vocabulum Bulsianum (quest'ultima una contrada di Petritoli, non lontana dal santuario della Liberata).
Nel dicembre 1055 Transarico, figlio di Transarico, donò pro redemptione animae all’Episcopato di Fermo la sua giurisdizione su 1/3 del castrum Petrituli.
Nello stesso tempo, la madre Amata, donò i beni che le appartenevano per morgengab, tra cui la sua parte del castello di Petritoli al vescovo di Fermo Ulderico.
Il 27 gennaio 1181 Gentile e Trasmondo, figli di Ugo, e Ascaro, figlio di Gualfredo, cedettero a Trasmondo di Cecilia, 1/3 della terra del castello di Petritoli, ovvero quantum necesse fuerit pro edificatione castelli, che stando al documento per Lucio Tomei sembra essere stato distrutto. Nel 1191 Transarico, abate del monastero di San Pietro in Valle, concesse a terza generazione a Trasmondo, figlio di Giberto, del vicino castello di Cecilia (in territorio di Petritoli), e alla moglie Dinambra, la quota che il monastero deteneva sul castello di Petritoli.
Fermo entrò in possesso della giurisdizione sul castello solo nel 1252, quando, espugnato dall’imperatore Federico II, Petritoli fu ceduto alla città.

In contrada Liberata troviamo il santuario di Santa Maria della Liberata, già Santa Maria in Liverano, ricostruito nel 1957 dall’architetto Felice Nori sullo stesso luogo dell’antica chiesa, danneggiata dal terremoto del 1943. Solo per il campanile sono state riutilizzate le pietre dell’antico complesso. La chiesa venne forse eretta nel xvi secolo come santuario contra pestem.
Nell’altare maggiore troviamo la tela della Madonna della Liberata, , datata 16 luglio 1529 dal pittore Giovanni Battista Morale da Fermo. Al centro della composizione è la raffigurazione della Madonna in trono col Bambino e i santi Sebastiano e Rocco. I due sono i protettori contro la peste. Sotto il trono è dipinta la testa decapitata di san Giovanni Battista su un piatto dorato.
Un cippo miliario romano (metà iv sec. a.C.), che ricorda il nome di Magnenzio, è stato trasformato in acquasantiera. Nel 978, come abbiamo già detto, Suppone di Transarico cedette all'abate di Farfa Giovanni alcuni beni in loco qui dicitur Miliarius et in Pila, ad vocabulum Bulsianum. Il termine Miliarius richiama il cippo miliario del santuario trasformato in un'acquasantiera (p. 384). Nei pressi del santuario doveva pur trovarsi la pieve di Sant'Anatolia, per Delio Pacini di probabili origini farfensi, dal momento che furono proprio questi monaci a portare nella Marca meridionale il culto di questa martire sabina (p. 384). Nel settembre 1063 la plebs Sanctae Natholie figurava tra i possessi del vescovo di Fermo. Abbandonata entro il xiii secolo, fu ricostruita in forme gotiche entro le mura del castello, sul luogo dell’attuale chiesa, eretta nel 1913.
L’interno è ad aula unica, coperta da capriate lignee. Nei lati della bussola papale, troviamo due cippi cinerari cilindrici (i-ii secolo d.C.): il primo dedicato a Tito Saturio Celere e il secondo alla sua liberta Fadia Paulla.


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