sabato 8 novembre 2014

I possessi farfensi nella città di Fermo

I farfensi avevano dei possessi nella città di Fermo. Di questi, una volta usurpati dall'Episcopato fermano, non rimase nulla, anche perché si decise di cancellare ogni memoria di un qualche possesso farfense nella città di Fermo.
Da un diploma del 815 rilasciato all’abbazia di Farfa dall’imperatore Ludovico, sappiamo che Carlo Magno aveva confermato all’abbazia di Farfa il possesso del monasterium quod vocatur Sancti Silvestri vel Sanctae Marinae. Per Delio Pacini il monastero doveva trovarsi in contrada Montemarino a Fermo, dov'è la chiesa di San Marino, non lontano da quella di San Silvestro, attestata nel 1227 non lontano dalla chiesa di San Nicola, che ha lasciato la memoria alla contrada San Nicolò tra Montesecco e Capodarco [1].
Nel 967, in un diploma rilasciato da Ottone I, è attestata la curtis Sancti Salvatoris suptus muros civitatis. La corte doveva trovarsi dov'è l'attuale contrada San Salvatore. La chiesa sarebbe stata poi trasferita entro le mura (attuale chiesa San Martino).
Nello stesso documento è ricordata la curtis Sancti Silvestri intra civitatem. Nella lista dei beni farfensi usurpati all’abbazia, redatta da Gregorio di Catino, entro il primo quarto dell’xi secolo, tra quelli nella città di Fermo, è attestata l’ecclesia Sancti Silvestri infra civitatem Firmanam. Una chiesa con questo titolo sembra sorgesse in località Montesecco (frazione Capodarco), stando ad un documento redatto nel 1227.

Il vescovo di Fermo si era impadronito di due chiese in ipso burgo civitatis Firmanae: con tutta probabilità quella di San Leucio (non lontano dalla chiesa di San Zenone) e quella di San Germano iuxta monasterium Sancti Savini, nei pressi del colle Vissiano. 
Negli ultimi anni dell’episcopato di Ulderico, Gisone, preposto della chiesa di Santa Maria in Georgio (attuale Montegiorgio), ricordava altre proprietà farfensi passati al vescovo di Fermo e ad alcuni signori laici. Tra questa, la stessa chiesa di San Silvestro, concessa per praestariam a Trasmondo IV (983-985) e, accanto a questa, una possente torre.
Nella lista è attestata ancora l'aecclesiam Sancti Luecii extra portam civitatis, ma a quell’epoca già distrutta ut a memoria hominum laberetur, ovvero perché fosse cancellata ogni memoria di questa. Per Lucio Tomei l'edificio potrebbe aver lasciato il nome alla contrada Campi Leucii o Campiletii, poi Campolege e Campoleggio.
Farfa aveva perso anche la metà della chiesa di Santa Palaziata, che doveva sorgere su un’altura presso Fermo, il monte Sanctae Palatiates attestato in un diploma del 1188 del vescovo Presbitero, con tutta probabilità l’attuale colle dei Cappuccini.
Per la tradizione a Fermo avrebbero subito il martirio anche le sante anconetane Laurenzia e Palazia[2].
Non lontano dal mare, Farfa possedeva il castello quod Ripa vocatur cum portis. In un privilegio del 1154 è detto sub Montesicco (attuale contrada Montesecco, poco a nord della frazione Capodarco, dov'era un altro castello, ma non sotto la soggezione dell'abbazia farfense), allora ceduto dal vescovo di Fermo Baligano al monastero di San Savino al colle Vissiano. Nelle vicinanze lo stesso monastero possedeva la pieve di San Michele Arcangelo, ceduta nel 1016 dal vescovo Uberto cedette al monastero di San Savino al colle Vissiano.
Da quello che ne sappiamo il castello di Ripa era l'unico porto marino che Farfa aveva nella Marca meridionale. Di questo porto però non rimane nulla. Ben presto tutti i commerci marittimi passarono per Porto San Giorgio.




[1] Pacini, p. 354.
[2] G. Santarelli, Le origini del Cristianesimo nelle Marche, Edizioni Lauretane Santa Casa, Loreto 2007, p. 265.

Nessun commento:

Posta un commento